Il calcio, croce e delizia del popolo italiano, è da sempre lo sport più controverso, anche per quanto riguarda i valori in campo e fuori, non soltanto tecnici

Lo sport dovrebbe essere per definizione un’attività eticamente positiva. Che sia di squadra o individuale, presuppone il rispetto di una serie di regole definite e soprattutto dell’avversario. Gareggiare in modo sportivo significa infatti anteporre al risultato correttezza e lealtà. La domanda a questo punto è più che lecita: il calcio è uno sport etico?

Per definizione certamente sì, per come vanno le cose, un po’ meno.

Andiamo per gradi. Nelle società calcistiche giovanili e nelle scuole calcio la crescita agonistica dei giocatori va (anzi, dovrebbe andare) di pari passo con quella valoriale e morale. Dopotutto il calcio è uno sport di squadra, quindi necessariamente collaborativo e basato sulla fiducia, sul sacrificio in vista di un obiettivo comune, sulla passione e sul divertimento.

Da quanto vediamo però sui campi di periferia e non solo, il problema più grande pare essere rappresentato dalle famiglie, più che dagli addetti ai lavori. Sulle tribune e fuori dagli spogliatoi sono all’ordine del giorno scene deprecabili tra genitori avversari, ma anche tra genitori e tecnici, allenatori, dirigenti sportivi.

Altro tasto dolente riguarda non soltanto, in molti casi, il rispetto delle regole sportive, ma soprattutto il rispetto verso le figure che tali regole devono applicarle: gli arbitri in particolare, spesso oggetto di scherno, di insulti sul campo e dalle tribune.

L’esempio che ricevono i più piccoli, insomma, non fa del calcio uno sport etico.

Salendo qualche gradino, possiamo riproporre lo stesso discorso per il calcio professionistico, quello che vediamo in televisione, per intenderci. Anche qui l’etica e la morale rimangono troppo spesso estranei alla pratica del campo e degli spalti, degli spogliatoi e delle società, delle trasmissioni e degli approfondimenti televisivi.

Una delle ragioni, lasciando da parte fattori culturali, è sicuramente da ritrovare nell’enorme quantità di interessi economici che ruotano atto

rno al mondo del calcio: davanti a così tanti soldi, spesso è difficile seguire i dettami della morale, più semplice perseguire interessi utilitaristici, personali e materiali.

Mischiando le carte, possiamo riassumere i due concetti in una scena che troppo spesso vediamo sui campi, a tutti i livelli: un giocatore che simula un fallo ricevuto per avere un vantaggio sportivo è considerato quasi sempre meritevole di lode, e allo stesso modo comportamenti antisportivi non sono condannati e anzi applauditi, se portano vantaggi per la competizione.

È necessario per questo un ‘intervento delle federazioni e un cambiamento culturale di rotta, per rendere giustizia al calcio come sport, ma soprattutto per trasmettere la consapevolezza in chi lo gioca e in chi lo guarda che il calcio, oltre ai valori tecnici, deve accompagnarsi ai valori etici e morali che contraddistinguono (o dovrebbero farlo) le persone anche nella società civile.

Dunque, il calcio è uno sport etico? Per la sua natura, di sicuro. È l’uomo che fa la differenza.